Introduzione

Quasi tutti gli inceneritori, sia in Italia che in Europa, sono impianti di recupero e non di smaltimento in quanto consentono, con una buona efficienza, di sfruttare l’energia dei rifiuti non riciclabili e degli scarti delle attività di selezione dei rifiuti raccolti in modo differenziato e degli impianti di riciclaggio. Nella gerarchia di gestione dei rifiuti sono quindi da preferire agli impianti di smaltimento come le discariche. Per poter comprendere come si arriva a queste conclusioni, acclarate dalla normativa e dai dispositivi autorizzativi degli impianti italiani ed europei, occorre innanzitutto fare tre doverose premesse

La gerarchia di gestione dei rifiuti

I criteri di priorità da seguire nella gestione dei rifiuti (cosiddetta “gerarchia dei rifiuti”) sono stati definiti a livello comunitario e recepiti nel nostro ordinamento dall’art. 179 del D.lgs. 152/06. In sostanza, stabiliscono l’ordine delle opzioni di gestione in funzione dei risultati ambientali attesi: la prima scelta, pertanto, sarà la modalità di gestione da perseguire prioritariamente per ottenere i migliori risultati in termini di minori impatti ambientali; non essendo possibile, si passerà alla seconda scelta e così via fino all’ultimo gradino. Questa gerarchia prevede che il primo obiettivo da perseguire è la “prevenzione”: ridurre i rifiuti, produrre beni che durino di più, che contengano meno sostanze nocive e che, eventualmente scartati, siano più facilmente riciclabili. Al secondo gradino troviamo la “preparazione per il riutilizzo”: se non è possibile evitare che un bene diventi un rifiuto, allora si devono mettere in campo tutte le azioni per far sì che quel bene possa essere usato per lo stesso scopo per il quale è stato costruito la prima volta, senza particolari operazioni. Se neanche la preparazione per il riutilizzo è praticabile, allora bisogna procedere con il “riciclaggio”: dal vetro viene prodotto altro vetro, dall’alluminio altro alluminio e così via. Se neanche il riciclaggio è fattibile, perché riciclare comporterebbe emettere troppe sostanze nell’ambiente o perché i costi economici sarebbero di fatto insostenibili, allora si deve procedere con il “recupero di energia” negli inceneritori: la materia torna ad essere energia utile per la vita di tutti i giorni ed anche i rifiuti non riciclabili vengono così valorizzati. Solo se nessuna di questa operazioni della gerarchia è praticabile, allora si può procedere con lo “smaltimento” in discarica.

È bene però precisare che la normativa specifica che è consentito discostarsi, in via eccezionale, dal detto ordine di priorità se per ragioni di fattibilità economica e tecnica, oltre che ambientale e sanitaria, una opzione posta più in basso sia da preferire ad una posta in gradini superiori della gerarchia.

Figura 1 – La piramide gerarchica

Piramide rovesciata della gerarchia dei rifiuti

Operazioni di recupero e smaltimento

Gli allegati B e C della Parte IV del D.lgs. 152/06 riportano tutte le operazioni di smaltimento e recupero previste per la gestione dei rifiuti. Sono numerate progressivamente e recano, rispettivamente, la lettera D per lo smaltimento e la lettera R per il recupero. In particolare, preme citare l’operazione “R1” recente “Utilizzazione dei rifiuti principalmente come combustibile o come altro mezzo per produrre energia”, nella quale rientrano quasi tutti gli inceneritori italiani ed europei per quanto verrà spiegato più avanti, e l’operazione “D1” che raggruppa gli impianti in cui si effettua “Deposito dei rifiuti sul o nel suolo (ad esempio discarica)”. Per inciso, i pochi inceneritori che non rispettano alcuni parametri tecnici di efficienza energetica oggetto del presente articolo e di cui parleremo diffusamente, e che quindi non possono essere autorizzati in “R1”, svolgeranno operazioni con la codifica “D10” ovvero “Incenerimento di rifiuti a terra”. Questi pochi impianti, pertanto, svolgeranno operazioni di smaltimento e non di recupero.

Il contenuto energetico dei rifiuti

Come noto, tutte le materie hanno un contenuto energetico intrinseco, ma non tutte possono essere sfruttate per produrre energia in quanto quella necessaria per attivare le opportune reazioni supererebbe quella prodotta dalle reazioni stesse. Una misura della attitudine delle diverse sostanze a produrre energia è il Potere Calorifico Inferiore (P.C.I.).

Semplicisticamente, questa grandezza esprime l’energia che si può ricavare convertendo interamente una massa in energia in condizioni standard e si esprime quindi in MJ/kg (megajoule per chilogrammo di sostanza). Per rendere comprensibile la sua importanza, si considerino a titolo di esempio i valori di alcune sostanze riportate in tabella 1.

Tabella 1 – P.C.I. tipici di alcune sostanze

P.C.I. di alcune sostanze e rifiuti

Come si noterà, pertanto, sia rifiuti urbani residui che i residui delle attività di selezione delle raccolte differenziate (o miscele di rifiuti non riciclabili con le tecnologie ad oggi disponibili) hanno un contenuto energetico sfruttabile tutt’altro che trascurabile e questo fa sì che il loro recupero, dando attuazione della gerarchia dei rifiuti, dovrà essere preferito allo smaltimento.

La determinazione della efficienza energetica degli inceneritori

Per determinare se un inceneritore di rifiuti sia classificabile come impianto di recupero è necessario sviluppare una formula, definita a livello comunitario e recepita nel nostro ordinamento nell’allegato C della parte IV del D.lgs. 152/06. La suddetta formula definisce l’efficienza energetica di un impianto da un punto di vista normativo: esprime sostanzialmente quanta energia viene prodotta da un inceneritore rispetto a quella contenuta nei rifiuti trattati[3].

In altri termini, con l’applicazione della formula le prestazioni energetiche di un inceneritore sono poste a confronto con quelle di una centrale termoelettrica convenzionale e questo spiega l’utilizzo di alcuni coefficienti che considereremo più avanti.

La formula è la seguente (con le varie forme di energia espresse in GJ/anno, ovvero gigajoule per anno):

Efficienza energetica = {[Ep - (Ef + Ei)]/[0,97×(Ew + Ef)]}×CCF

dove: 

  • Ep = energia annua prodotta sotto forma di elettricità e calore. È calcolata moltiplicando l'energia sotto forma di elettricità per 2,6 e l'energia termica per 1,1[4]
  • Ef = energia annualmente fornita all’impianto da combustibili diversi da rifiuti che hanno contribuito alla produzione energetica. Questa va ovviamente sottratta, come riportato nella formula, all’energia prodotta per mezzo dell’uso dei rifiuti
  • Ew = energia annualmente fornita dai rifiuti trattati e calcolata in base al potere calorifico netto dei rifiuti stessi
  • Ei = energia annualmente importata, escluse quelle conteggiate in Ew ed Ef. Questa va ovviamente sottratta, come riportato nella formula, all’energia prodotta per mezzo dell’uso dei rifiuti
  • 0,97 = fattore corrispondente alle perdite di energia dovute allo scarico delle ceneri pesanti (scorie) e all’irraggiamento
  • CCF = valore del fattore di correzione corrispondente all'area climatica nella quale insiste l'impianto di incenerimento (Climate Correction Factor). Questo fattore è necessario per considerare il clima dell’area in cui opera l’impianto e porre correttamente a confronto impianti dislocati in aree diverse. Si consideri infatti che nel nord Europa viene praticato per ovvie ragioni il recupero termico, cosa non praticata per altrettante ovvie ragioni nelle aree meridionali del continente, come il sud Italia. Attualmente questo fattore oscilla tra 1,00 e 1,25 a seconda della temperatura media della zona

Un inceneritore, per potere essere classificato impianto di recupero energetico in codifica “R1”, dovrà avere un valore di efficienza energetica, come da formula discussa, pari o superiore a 0,60 per gli impianti costruiti prima dell’1 gennaio 2009 e pari o superiore a 0,65 per gli impianti costruiti dopo il 31 dicembre 2008.

Per quanto detto, una centrale termoelettrica convenzionale presenterà un risultato della formula pari a 1: ciò sta a significare che un inceneritore di recente costruzione dovrà restituire una efficienza energetica pari al 65% di quella di un impianto termoelettrico convenzionale per poter essere annoverato tra quelli che effettuano recupero.

La classificazione degli inceneritori italiani

Ad oggi in Italia sono operativi 37 impianti di incenerimento che hanno trattato circa 6,1 milioni di tonnellate di rifiuti (tra urbani, speciali di origine urbana e speciali). Di questi, 34 (92%) operano in R1: sono quindi impianti di recupero e non di smaltimento. Se poi vengono considerate le quantità trattate emerge che la predominanza degli impianti di recupero è ancora maggiormente marcata: emerge infatti che gli impianti in R1 hanno trattato circa 5,9 milioni di tonnellate delle 6,1 totali (97%). I dati sono illustrati nelle figure 2 e 3.

Figura 2 – Suddivisione inceneritori italiani in R1 e D10 per numero di impianti

Suddivisione inceneritori italiani in R1 e D10 per numero di impianti

Figura 3 – Suddivisione inceneritori italiani in R1 e D10 per quantità trattate

Suddivisione inceneritori italiani in R1 e D10 per quantità trattate

Conclusioni

In buona sostanza, la totalità degli inceneritori italiani (soprattutto ragionando in termini di quantità di rifiuti trattate) svolge operazioni di recupero e non di smaltimento. Questa evidenza ha una notevole importanza, soprattutto alla luce della normativa (con particolare riferimento alla gerarchia della gestione dei rifiuti) in quanto è un trattamento che deve essere preferito, per i rifiuti non riciclabili e per gli scarti della filiera del riciclaggio con contenuto energetico, allo smaltimento in discarica.

Gli inceneritori italiani, pertanto, oltre a svolgere una fondamentale funzione di salubrità ambientale (minore consumo di suolo rispetto alle discariche, minori emissioni climalteranti, possibilità di trattare efficacemente rifiuti pericolosi – come ad esempio quelli prodotti durante la recente pandemia COVID-19, produzione di quote importanti – pari al 51% - di energia da fonti rinnovabili) forniscono un contributo fondamentale per il conseguimento degli obiettivi previsti dalle direttive sull’economia circolare favorendo la riduzione del ricorso alla discarica e incrementando pertanto il recupero complessivo dei rifiuti.

[1]  Imballaggi misti derivante dalla selezione meccanica della raccolta differenziata che, per via della loro eterogeneità e delle condizioni in cui si presentano, non risultano riciclabile con le tecnologie ad oggi disponibili

[2]  Combustibile ottenuto dalla selezione meccanica dei rifiuti negli impianti TMB. Il P.C.I. può variare notevolmente nel range 3 – 15 MJ/kg a seconda della tipologia di trattamento e raffinazione

[3] Si evidenzia che anche gli impianti che non raggiungono i valori previsti dalla formula effettuano comunque un recupero energetico anche se non possono essere classificati in R1 in quanto il recupero di energia è obbligatorio per legge ai sensi sia delle normative comunitarie che nazionali

[4] Vengono usati i coefficienti 2,6 e 1,1 perché, come detto, la formula pone a confronto la prestazione energetica di un inceneritore con quella di una centrale termoelettrica convenzionale che presenta mediamente questi valori di efficienza